I Miei Racconti






IN GABBIA


Era riuscita ad evadere. Si sentiva braccata ed effettivamnte lo era. Un centinaio di uomini, armati di fucili, in divisa, stavano battendo i terreni circostanti la sua ex prigione. C'erano anche i cani che seguivano le sue tracce. Si era rifugiata in un piccolo boschetto distante 5 chilometri dal suo carcere. Aveva bevuto dell'acqua piovana di alcune pozzanghere, si era ridotta a mangiare radici, era entrata in un campo coltivato, divorando l'insalata che vi cresceva, aveva cacciato piccoli animali incontrati nella sua fuga. Otto giorni. Erano otto giorni che durava questa sua fuga, 192 ore di estenuante ricerca della libertà, spese tutte nel disperato tentativo di eludere gli inseguitori, nell'ansiosa ricerca di un riparo sicuro in cui riposarsi. Sogna va la sua terra natìa. Calda, accogliente, protettiva. Invece ora si trovava lì, nascosta fra alcuni alberi, con i sensi all'erta e pronta fuggire al minimo rumore. Era stata sua la colpa se ora si trovava in quella situazione. Ricordava ancora quando lasciò le sue contrade confortevoli... Una mattina di tanto tempo prima, si era svegliata, come sempre di buon'ora, aveva lasciata la sua dimora per procurarsi il cibo e controllare il suo territorio. I suoi sensi notarono subito qualcosa di strano. Intorno a lei c'era una strana agitazione. La ragione di tanto nervosismo era la presenza di un gruppo di cacciatori, preceduti da un numero non precisato di battitori. Erano molto lontani da lei, ne sentiva appena il rumore. Presa da curiosità si diresse verso di loro, per vedere, per capire... Man mano che si avvicinava al gruppo, il frastuono aumentava, come aumentava il numero di chi fuggiva via, lanciandogli muti inviti a fare altrettanto, terrorizzati da quanto li stava per investire. Lei invece, non aveva dato retta a nessuno. Che diamine! Era la regina di quel territorio e voleva vedere, se non punire, chi osava interrompere la dolce quiete di quelle contrade. Fu così che continuò quella insensata corsa verso il pericolo, sopravvalutando la sua abilità e la sua forza. Eccoli. Erano in tanti, di pelle chiara, cavalcando enormi elefanti e si facevano largo a stento nella folta e lussureggiante vegetazione, preceduti da una schiera di uomini di colore che battevano con nodosi bastoni su tamburi e scatole colorate. Ma quel rumore infernale non la spaventò, anzi si avventò su uno dei battitori che le si era avvicinato troppo, uccidendolo. Le urla degli uomini aumentarono e sentì il latrato dei cani che gli venivano lanciati contro. Erano tanti, troppi, adesso! Il suo istinto le suggerì di fuggire e lei lo assecondò. Azionò i possenti muscoli delle zampe correndo a perdifiato. Ma non fu sufficiente, I cani la tallonavano da vicino, sempre più da vicino, a volte persino superandola per cercare l'accerchiamento. Aveva dovuto lottare con più di uno di loro per farsi strada e ci era riuscita lasciandoli rantolanti e sanguinanti al suolo. La sua corsa procedeva velocissima, padrona del territorio evitava tutti i trabocchetti che la fitta vegetazione le parava davanti. Questa sua dimestichezza col terreno sembrava favorirla. Difatti spesso gli inseguitori erano rallentati da ostacoli naturali. Riusciva a distanziarli, ma non demordevano, continuavano ad inseguirla. Si accorse con sgomento che li stava guidando verso la sua tana, vero i suoi piccoli. Prese allora in lei il sopravvento l'istinto materno. Doveva difendere i suoi cuccioli, non doveva farli catturare, non doveva tradire la loro presenza. Fu così che deviò il percorso, tagliando verso destra e perdendo irrimediabilmente terreno. Fu attorniata da una decina di cani con le fauci spalancate, sbavanti ferocia, pieni di furore assassino. Ma bastarono poche zampate per metterne fuori gioco la metà. Ricorse al suo ruggito possente per intimorire gli altri e rallentarne l'impeto il tempo necessario per sgusciare via e riprendere la corsa. Ma un altro pericolo le si rivolgeva contro. Avevano incendiato la foresta per chiuderle ogni via di fuga, avevano dato fuoco alla vegetazione. Ad un tratto dovette interrompere la corsa, fermata da una barriera di fiamme alte e minacciose. Fu gioco forza fermarsi e voltarsi verso chi l'inseguiva. Fu fronteggiata da una ventina di cani che si fermarono sia per il fuoco , sia per l'attacco che aveva portato loro. La tenevano a distanza, sentiva dietro di lei il calore che si avvicinava. Spinta dal terrore, si lanciò verso l'unica strada che le permetteva di allontanarsi a quell'inferno. Balzò nel mezzo della muta, ma gli animali, ben addestrati, si scansarono, si allontanarono immediatamente facendole toccare il suolo nudo. Poi su di lei si abbattè una grossa e pesante rete con le maglie molto fitte che le bloccarono i movimenti. Su di lei si avventarono nuovamente i cani. La rete che l'aveva fermata ora la proteggeva dai loro morsi. Poi sopraggiunsero gli uomini che allontanarono le bestie. Vide bene uno di loro, dalla folta barba nera, sparargli con un fucile particolare. Fu colpita da qualcosa di strano, una forma oblunga che le iniettò qualcosa di bruciante sotto la pelle. Sentì venirle meno le forze e annebbiarle la vista. Un ultimo ruggito, quasi un rantolo, nel tentativo di spaventare gli assalitori e poi il buio. Si svegliò una prima volta in una gabbia stretta che le impediva quasi del tutto i movimenti, in un ambiente buio. Accanto a lei, altre gabbie come la sua, con dentro altri esseri sfortunati. Sentì una lieve puntura su l dorso e piombò nuovamente nella nebbia più fitta. Si svegliò una seconda volta, in una gabbia più grande, di ferro. Era in movimento... era all'interno di qualcosa che si muoveva. Fece sentire il suo possente ruggito. Il veicolo si fermò dopo poco. Le passarono, fra le sbarre, una ciotola d'acqua ed un grosso pezzo di carne che divorò velocemente. Ad un tratto la parte superiore del veicolo su cui si trovava si aprì e vide calare su di lei una catena con un gancio che catturò la gabbia e la sollevò tirandola fuori. La sua prigione ondeggiava paurosamente dietro i possenti scrolloni che lei le dava. Fu adagiata lentamente accanto ad una gabbia molto più ampia con le sbarre che toccavano i ferri dell'altra. Poi si aprì un passaggio e fu spinta da alcune lance appuntite verso il nuovo "alloggio". Era molto ampio, rispetto a quelli in cui aveva vissuto gli ultimi suoi giorni. La misurò a balzi in tutta la sua larghezza e lunghezza. Si avventò contro grosse barre di ferro. Ne fu respinta... Girò furiosa in quella nuova prigione, Grande, ariosa, con una cascatella d'acqua in un angolo, una palma ed un altro albero dai grossi rami, che non conosceva, accanto. Ma rimaneva pur sempre una prigione! Dopo circa un'ora di tentativi furiosi, si calmò, non aveva altra alternativa se non accettare questa nuova realtà. Con malinconia il pensiero corse alla sua giungla e soprattutto ai suoi cuccioli... Che fine avevano fatto? Erano ancora vivi? E se lo erano, sarebbero stati capaci di provvedere a se stessi? Questo pensiero la rese furiosa e ruggì con veemenza, scaricando la sua rabbia contro chi l'aveva catturata. Solo allora si accorse di essere osservata. Al di là delle sbarre c'erano un gruppo di uomini bianchi, bizzarramente vestiti, con i loro cuccioli che guardavano alternativamente lei ed un grosso cartello posto al di fuori della gabbia: ---------------------------------------------------------------------------------- PANTERA NERA Varietà di LEOPARDO dal mantello nero Specie: di MAMMIFERI ( Panthera Pardus ) Ordine: CARNIVORI Sott'ordine: FISSIPEDI FELOIDEI Famiglia: FELIDI Luogo di origine: ASIA, BORNEO, ISOLA DI GIAVA In via di estinzione. Specie protetta. ---------------------------------------------------------------------------------- Gia...!

FINE