I Miei Racconti






28- IL FALO'


“… è stata proprio buona l’idea di fare un grande falò per la festa del paese. Il sindaco ci tiene a fare le cose in grande per attirare i turisti. Quest’anno ha scelto il fuoco…” Una catasta enorme si erge nel mezzo della piazza del Municipio. Ora sta fiammeggiando allegramente, mentre la folla è tutta attorno. I ragazzi fanno a gara a chi si avvicina di più, per poi fuggire via, urlando e ridendo, felici. La gente, vociante, ammira le evoluzioni delle fiamme ed aspetta l’accensione dei fuochi d’artificio. “… la festa del paese. C’è qualcuno, però, che non potrà vedere le lingue incandescenti miste a fumo e scintille, innalzarsi verso il cielo rosseggiante di bagliori. Povera Teresa… le sarebbe tanto piaciuto assistere… Mi aveva stancato con la sua gelosia, con la fissazione che l’avessi tradita ogni qualvolta ritardavo a rientrare a casa. Certo non sono uno stinco di santo, ma tradirla così spesso, no! Qualche volta, quando ne ho avuta l'occasione... Sono un bell'uomo.:! In un paese piccolo come questo, di circa tremila abitanti, è ben difficile fare certe cose di nascosto…”. “ Signor architetto”, così lo chiamano qui. Gli hanno affidato l’incarico di progettare il falò. L’ha fatto benissimo, proprio come gli serviva. Alto e molto largo alla base, e con una piccola galleria sotto. Perché l’aria potesse circolare meglio, alimentando le fiamme. Questa è stata la sua versione, del resto corretta. Durante la notte, però, ha operato un piccolo cambiamento. Il paese era addormentato. Nessuno lo aveva visto portare Teresa, avvolta in una coperta. Lui stesso, poi, aveva portato la fiaccola per dare fuoco al tutto, così nessuno aveva visto l’ingresso della galleria ben chiuso con altra legna. I pompieri sono fermi, in disparte, pronti ad intervenire in caso di necessità. “ … precauzione inutile, c’è troppa distanza fra le fiamme ed i palazzi, gli alberi… Credo proprio di meritarmi un sorso di whisky. Per fortuna ne ho sempre con me una boccetta, in tasca, ben mimetizzata per la forma piatta… un solo sorso, anzi due.. abbondanti… ah! Fuoco entra nelle mie vene! Si, si… Fuoco, sono un tuo adoratore! O signore fiammeggiante, porta via per sempre mia moglie. Se domani mi chiederanno di lei, dirò che è partita senza avvisare… che mi ha lasciato. Tutti sanno, ormai, che le cose tra noi non andavano bene… (eh.. non è vero, ma è una voce che ho fatto circolare con abilità). Farò il marito inconsolabile. Nessuno si meraviglierà. Sarò tanto triste… eh, eh… e chissà che Gianna non si decida a proporsi… Ho l’impressione che cerchi l’occasione per farlo, senza perdere la faccia… la dignità, l’aureola di donna onesta. Qualcosa mi ha colpito il viso. Una goccia, poi un’altra ancora. Piove, strano, il tempo era al bello per tutto il giorno, ed ora... PIOVE! Maledizione la pioggia no! Non la voglio…!” E’ proprio un diluvio. La folla si ripara precipitosamente sotto i portici e nei bar della piazza. “… il fuoco resiste. Si! Resiste ancora. Cerca di resistere quanto basta, ti prego! E’ solo un acquazzone estivo, passeggero, fra qualche minuto smetterà… e tu potrai tornare a schioppettare allegro e vivace. Dio fuoco, non puoi essere vinto da un temporale estivo, almeno sino a quando non avrai terminato l'opera distruttrice di quanto hai nel tuo cuore. Teresa reclama la sua fine… No!” Del fumo si alzava, con spirali sempre più fitte, dalla legna bagnata. Intanto le fiamme perdevano la lotta contro l’acqua che evaporava al contatto delle braci, causando sfrigolii simili a risate sardoniche. Crepitii, scintille che si innalzavano per spegnersi velocemente. “… No, non devi! Non devi! Eppure, fuoco, io t’adoravo! Ho posto la mia vita nelle tue mani, ed ora… non puoi tradirmi!” Alcuni uomini si preparavano a portare via la legna bagnata, le fascine non bruciate. “… fra poco ti troveranno Teresa! Teresa dai capelli gialli come stoppia, dalla bocca troppo grande, troppo umida…. Che tu sii maledetta!” Un uomo si allontanò furtivo, cercando riparo nei coni d’ombra, con le spalle ricurve sotto il peso della sua colpa. Lasciò scivolare sull’asfalto una bottiglia vuota. Si voltò ancora una volta verso la piazza che avrebbe dovuto celebrare il suo trionfo, la sua nuova vita. Le sue spalle ricurve testimoniavano la sconfitta, la resa totale. Tornò sui propri passi e si avviò deciso. Si fermò davanti alla porta della caserma dei carabinieri. L’appuntato che era di servizio lo riconobbe: -“ Signor architetto, peccato, una festa così bella rovinata… “-.

FINE