I Miei Racconti






IL SOGNO


Dormiva. Sognava. Un mondo irreale si mostrava ai suoi occhi. Alberi dal tronco di color argento e ricchi di foglie d’oro. Un ruscello gorgogliante di liquido viola. Il cielo coloro cremisi intenso con nel mezzo un sole dardeggiante color verde pisello. Un uccello cantava dal suo nido un inno d’amore ricevendo subito la risposta da una pianta vicina, poi si levava in volo con le ali aperte al massimo, di un color rosso fuoco, e planava dolcemente verso la femmina che aveva raccolto il suo appello. Un mondo idilliaco, dove tutto rifletteva armonia ed amore, dove lei si sentiva parte di esso, anche se la policromia era un po’ al di fuori dei canoni consueti. Nell’aria avvertiva un lieve suono d’arpe: era il vento, anzi la leggera brezza che, sfiorando lievemente le foglie sottili, le faceva vibrare, traendone suoni armoniosi. Godeva di quell’atmosfera, sentiva sciogliersi, uno ad uno, i nodi del suo stress. Sentiva il suo animo placarsi ed il cuore aprirsi a nuove speranze. Decise di tuffarsi in quell’acqua viola, invitante. Si spogliò delle sue vesti, completamente, rimanendo del tutto nuda. Non lo aveva mai fatto prima, non si era mai denudata, se non al riparo della sua casa; era molto timida, pudica e timorosa, ma adesso quel gesto, spontaneo, non gli procurava imbarazzo, anzi sentiva un certo piacere, si sentiva più libera, si sentiva più leggera. Vide uno strano animaletto dal corpo e dalle zampette esili ma aggraziate, con le orecchie ed un musetto stranamente ovoidale, allungato. Non ne aveva mai viso uno simile. Guardò con attenzione verso di lui: aveva due occhi molto grandi e celesti, il suo manto era di un verde che dall’intenso del capo si andava schiarendo sino a diventare quasi bianco verso la coda. Quest’ultima poi era alquanto bizzarra, sembrava fatta di piume, bianche e gialle, molto larga e schiacciata, quasi un ventaglio. Comunque accettò quella presenza con stupore non troppo accentuato. Tutto in quel posto era strano, fuori dell’usuale. Si incamminò lentamente fra la fitta vegetazione che la sfiorava. Lunghe foglie vellutate da un lato e ruvide dall’altra le accarezzavano i seni, il fondo schiena. La vegetazione era tanto fitta da sfidare i più recessi segreti del suo corpo, della sua femminilità. Lei sentiva quello che le accadeva, si accorgeva di quelle strane carezze audaci ed impudiche, ma non se ne curava, anzi, ne godeva, ne assaporava dolcemente il piacere. Giovane donna di trent’anni, era stata altre volte accarezzata intimamente, aveva conosciuto l’amore dolce e tenero, aveva conosciuto l’uomo, la sua dolce prepotenza. Ma quello che provava in quel momento era un’altra cosa. Un piacere immenso, delicato, lieve, ma intenso. Le faceva rimescolare il sangue, le faceva desiderare amplessi più decisi, sensazioni più violente che puntualmente arrivavano, tanto che si lasciò andare, si distese sull’erba di un azzurro inquietante, e si rotolò in essa. Lasciando che la natura con i suoi fili cerulei la lambissero lascivamente, lasciando che fiori neri di strane piante si chinassero sul suo corpo sino ad accarezzarlo, a sollecitarlo in sensazioni sublimi e mai provate. Sino a quando, con un rantolo soffocato, si abbandonò all’estasi dell’orgasmo, rotolandosi nella vegetazione, stringendo fortemente al corpo nudo fiori e foglie che sembravano vivere, che sembravano partecipare a quell’orgia. Sentì nell’aria come un accentuarsi di note soavi, contemporaneamente all’eccitazione provata. Quasi che la natura circostante partecipasse con lei alle sue emozioni, ne condividesse il piacere. Finalmente, spossata, si rialzò per recarsi presso il ruscello. Guardò le sue gambe, slanciate, ben tornite, guardò il suo ventre piatto e liscio, ricco d’infinite dolcezze, accarezzò il suo seno sodo e maestoso, ne pizzicò le punte dure ed appuntite provando nuovo piacere. Ad ogni suo tocco, sembrava che il creato intorno a lei sussultasse, tremasse di nuovi brividi. Si piaceva, le piaceva il suo corpo, se fosse stato possibile si sarebbe innamorata di se stessa appassionatamente. Finalmente, al limite di un nuovo delirio, raggiunse la sponda del ruscello. Vi si specchiò e vide il volto incantevole di una donna soddisfatta ed emozionata. Il colore viola dell’acqua le rifletteva un’immagine irreale ma piacevole, dolce, sensuale. Distolse lo sguardo per non farsi travolgere dal deliquio. Finalmente s’immerse, adagio. L’acqua non era fredda, aveva una temperatura gradevole- Giocò per brevi attimi scalciando dolcemente, poi con fare pigro avanzò verso il centro. Lentamente, molto lentamente, dapprima fino al ginocchio, poi a mezza coscia, fino a raggiungere, poi, il livello dell’acqua con il pube, e lasciando che la corrente giocasse con la sua intimità. Si girò verso la sorgente, in modo da sentire più direttamente, la forza del liquido che, veloce, scivolava fra le gambe, le regalava intimi contatti. Lei ne traeva piacere. Alla fine si decise e si inginocchiò, immergendosi sino alle spalle. Sentì di colpo , netto il contrasto fra l’aria e l’acqua. Si soffermò a goderne le differenze. Ne raccolse con le palme della mano e se la versò sul capo, facendola scivolare fra i capelli, sul viso, sulle labbra. Ne assaporò, dapprima timidamente, l’umore. Fresca, era fresca e saporita, non era come l’acqua che lei conosceva, aveva un aroma strano, sconosciuto, ma le piaceva. Cominciò a massaggiarsi il corpo, tutto, con quel liquido un po’ denso, leggermente corposo. Tutto, tutto in quel posto sembrava creato per procurare piacere fisico, anche quell’elemento così strano. Continuò a strofinarsi il corpo, ad ungersi con quel nettare meraviglioso ed a berne, a tuffarsi, a nuotare, a soffermarsi e nuovamente ad accarezzarsi, per poi rituffarsi in esso, completamente, sino a sparire per poi riemergere inalando a pieni polmoni aria profumata, balsamica. Il Paradiso, pensò, non poteva essere diverso. Forse l’Eden era così, forse Eva aveva provato le stesse sensazioni. Si abbandonò a corpo morto in balia della corrente, facendosi trasportare lentamente. Il paesaggio non cambiava, sempre uguale, sempre diverso da tutto. I raggi verdi di quel sole impossibile le accarezzavano il corpo che lei mostrava impudica, in tutta la sua bellezza, in tutta la sua prorompente femminilità. Non realizzò per quanto tempo si fosse lasciata trasportare, ma ad un tratto decise di uscire da quel Nirvana. Con aggraziate bracciate si avvicinò alla riva e si issò. L'acqua le scivolò dalle spalle, lentamente, molto lentamente, quasi a formare un mantello traslucido che l’avvolgeva sino ai piedi. Si indirizzò pigramente verso la riva, incurante se qualcuno potesse scorgerla. Le sembrava una cosa naturale, vivere come ai primordi dell’umanità. Aveva fame. Quella breve nuotata le aveva messo appetito. Per la prima volta nella sua mente si formò un piccolo dubbio. Come avrebbe scelto di cosa cibarsi ? Le venne in soccorso la natura stessa. Sulla riva su cui si era sdraiata, per asciugarsi al sole, fece capolino un animaletto uguale a quello che aveva visto nella radura… Lo guardò attentamente e vide che si stava nutrendo con delle bacche bianche di un cespuglio. Si avvicinò e ne portò una alla bocca, con estrema precauzione. Buone ! Ne prese un’altra e un’altra ancora, sino a che, affiancò la bestiola, ed insieme, come appartenenti allo stesso branco, continuarono a mangiare con lena, sino a saziarsi. La bestiolina le si avvicinò, strofinò il suo muso sul fianco di lei ricevendo in cambio una carezza sul capo e sul dorso, poi scappò via saltellando. La donna si incamminò verso l’interno, allontanandosi dall’acqua, ma non perdendola mai di vista. Si guardava intorno passando da sorpresa in sorpresa. Inverosimili piante, originali animaletti, un mondo completamente nuovo, diverso dal suo, la circondava. Ad un tratto tutto mutò. Il cielo si oscurò di colpo, la leggera brezza si tramutò in un vento impetuoso. I raggi del sole non riscaldavano più. Provò dei brividi di freddo. Portò le mani al seno per ripararsi e solo allora si rese conto d’essere nuda. Per la prima volta si vergognò, cercò di coprirsi in qualche modo. Strappò delle larghe foglie e dei lunghi e resistenti fili d’erba con i quali confezionò un rudimentale gonnellino. Pensò ai vestiti che aveva abbandonato sulla riva, con rammarico. Si rimproverò per essersi lasciata turbare, per non aver pensato al dopo. Nel frattempo era calata improvvisamente la notte. L’aria intorno a lei aveva cambiato colore, era diventata marrone scuro. Non era più profumata, lieve, ora era diventata pesante, densa, quasi irrespirabile. Si portò i lunghi capelli sulle labbra a fare da filtro. Aveva freddo, la sua pelle soffriva quel rapido mutamento sempre più. Si guardò intorno sgomenta, cercando un rifugio qualsiasi per ripararsi da quel vento gelido. Sentì una fitta al seno. Erano i suoi capezzoli che reclamavano per il freddo intenso. Duri ed appuntiti, sembravano due ghiaccioli neri, quasi corpi estranei, incastrati nella carne. Cominciò a massaggiarli, cercando di creare una barriera di calore fra loro e l’aria. Era un espediente misero, ma dopo un po’ fece sentire dei piccoli effetti che se non altro ne bloccarono l’intorpidimento. Notò due piccole luci rotonde distanti da loro quasi mezzo metro, vi si indirizzò correndo. Andò a sbattere contro un’altra bizzarra creatura. Appollaiata in cima ad un cespuglio, in equilibrio su una zampa, con un corpo tozzo, compatto da cui spuntavano due protuberanze che divergevano da esso, con in cima due occhi bianchi, quasi fosforescenti… le luci che aveva visto. Vi fu un urlo da parte sua ed uno sbatter d’ali, o qualcos’altro, da parte dell’animale che emise strani versi di protesta:-” Que-re-que-bek “-. Quell’incontro casuale, anzi quello scontro con relativo ruzzolone le portò fortuna. Per terra, intorno al cespuglio, ai cui piedi era caduta, trovò del materiale lanuginoso, abbondante. Non vedeva assolutamente di cosa si trattasse, ma provandolo con il tatto sentì il tiepido calore che da esso scaturiva. Se ne avvolse completamente, raggomitolandosi e coprendosi tutto il corpo, lasciando libero solo un piccolo pertugio per poter respirare. Dopo qualche minuto, cominciò a sentire l’effetto di quella protezione. Il gelo sembrava essere stato isolato, il suo corpo si autoriscaldava. Aveva trovato un materiale isolante. Contenta di questa scoperta, avvolta dal dolce tepore, si addormentò profondamente. Drrrriiiiiiiin, drrrriiiiiiiinn. La sveglia risuonò, feroce. Nel silenzio. Marta si svegliò di soprassalto. Bloccò quell’arnese immondo, guardò l’ora. Le sei. Si rincantucciò nel caldo piumone e ricordò il sogno che aveva fatto. Rivisse quella strana avventura, riguardò l’orologio. Decise di poter restare ancora per un po’ al calduccio. Era domenica, una domenica di un freddo Gennaio. Il giorno prima aveva deciso di andare a trovare la madre che viveva a quasi trecento chilometri di distanza. Ma non aveva fretta. Poteva permettersi di restare ancora un po’ a letto. Che strano sogno aveva fatto ! Piacevole, si soffermò a riviverne le emozioni e le sensazioni. -“ Marta, Marta..! si vede che hai proprio bisogno di… un uomo “- si disse a voce alta, pensando al piacere vissuto in sogno… -“ Brutto segno… la zitella che è in te, ti ha mandato un segnale, Marta… ! Non puoi più aspettare oltre. Hai ancora un corpo decente, ma hai trent’anni, anzi trentuno fra un mese ed adesso devi fare in fretta, altrimenti, dovrai accontentarti dei sogni…!”- Si stirò voluttuosamente. Guardò le braccia: erano coperte da una lanugine arancione, sollevò sgomenta il piumone… Riuscì a stento a non urlare. Al posto del pigiama aveva il corpo coperto da quella strana lanugine, per il resto era completamente nuda, ad eccezione di uno strano tipo di foglia, molto larga, ruvida all’esterno e vellutata all’interno a contatto con la sua pelle. Il tutto legato alla vita da quello che sembrava un robusto filo d’erba rugoso ! La sua mente vacillò per un attimo. La vita che conduceva adesso era reale od era un sogno ? Ed il sogno era solo frutto della fantasia o era vita reale ? O piuttosto, chissà per quale fortuita convergenza di probabilità, aveva fatto capolino per un attimo in una vita parallela… in un mondo parallelo ? Le scoppiò una tremenda emicrania. Si alzò in preda ad una forte tensione, andò in bagno, si tuffò sotto la doccia per togliersi quella strana sostanza di dosso. Gettò via nella pattumiera quella specie di foglia. Telefonò alla madre avvertendo di non attenderla. Cercò nell’armadietto delle medicine la bottiglietta del sonnifero. Ne ingoiò due pastiglie e si infilò velocemente nel letto. Ma non sapeva se volesse dimenticare o… tornare in quel mondo incantato.

FINE