I Miei Romanzi



LA CROCE DEI DUE SOLI
(42 capitoli)>

CAPITOLO PRIMO


Galoppava, aggrappato al suo cavallo nero, lasciava che l’animale, superbo per la sua possanza, lo portasse via da quel paese ostile. Procedeva veloce sulle strade lastricate dei villaggi, sulla terra battuta delle stradine fra gli orti. Persone e cose scansate per un pelo, altre travolte, finalmente la campagna aperta, libera, disseminata di qualche sparuto albero, poi là in fondo una macchia scura: la foresta. Era la sua meta. Solo quando l’avesse raggiunta si sarebbe sentito al riparo. Era la sua salvezza! Indicò a Furore la strada da seguire. L’amico quadrupede di tante avventure nitrì, quasi a sottolineare di aver compreso. Poi, finalmente, sgomberò la mente dalla paura atavica che tutti gli umani hanno della morte violenta, del linciaggio, cercò di fare un rendiconto delle ultime ore. Intanto il cavallo si avvicinava sempre più a quella linea scura che pian piano s’ingrandiva ed ora presentava varie tonalità di verde. Si voltò a guardare se qualcuno lo inseguisse, per la prima volta da quando era fuggito. In lontananza vide un polverone. L’esperienza lo portò a valutare in una ventina i cavalieri che lo inseguivano. Aveva creduto peggio. Forse anche in questo caso se la sarebbe cavata, solo se fosse riuscito a mantenere lo stesso vantaggio sino alla fine. La foresta maledetta, così era chiamata dagli abitanti di quelle terre. Aveva sentito storie di mostri che si annidavano al suo interno e che nessuno si avventurava ad attraversarla da solo. Leggende, paure primitive, di un popolo incolto, paure ancestrali che riversavano su alcuni luoghi per allontanarle. I mostri sono là, noi invece qui, al chiuso delle nostre case, siamo al sicuro. Fandonie. Lui aveva viaggiato molto, aveva girato in lungo e in largo mille contrade, aveva visitato centinaia di luoghi “stregati”, “maledetti” e aveva incontrato solo la semplice e pura paura per l’ignoto. Nei luoghi “proibiti” c’erano sempre solo piante, alberi, animali addirittura timorosi di ogni intrusione; aveva visto solo il buio sotto fitta la vegetazione; aveva sentito solo le “voci” degli animali del posto, aveva solo respirato l’aria greve e fredda di un sole mai presente, l’umido che si attaccava addosso, peggio di una pioggia fine e fittissima. Nient’altro. Ma tanto meglio così: quella incomprensibile paura, lo avrebbe protetto ancora una volta. Un pensiero gli attraversò la mente: la paura era più forte della voglia di vendetta, del furore causato dall’onore offeso, del danno subito. Meglio così. Non era la prima volta che approfittava di ciò per evitare il peggio! Fu distolto dai suoi pensieri da uno scarto violento del cavallo che all’improvviso si fermò. Riuscì a stento a mantenersi in sella, senza dimenticare di fare, dopo essersi ripreso, una carezza all’animale, per tranquillizzarlo. Avevano raggiunto il limitare della foresta, e Furore, intuì, aveva sentito qualcosa di diverso provenire dalla macchia verde scuro che si allargava dinanzi a loro. Guardò alle sue spalle: in lontananza la nuvoletta sembrava aver perso gran parte della sua baldanza, sembrava che avesse rallentato la rincorsa, che fosse addirittura rimpicciolita. Forse qualcuno si era ritirato dopo aver intuito la meta. Ci aveva sperato ed aveva indovinato. Sapeva già quello che sarebbe successo. I più coraggiosi sarebbero arrivati a poca distanza dalla foresta, avrebbero pensato inutile l’inseguimento, sarebbero tornati sui propri passi dando per spacciata la loro preda, tacitando in tal modo la sete di vendetta. -“ Su Furore, buono, vai, vai adagio, sono solo alberi!”- un’altra carezza sul collo del cavallo che s’addentrò, tranquillo, nella fitta vegetazione. Ormai era quasi un’ora che si aggirava in quell’intrigo di rami e di tronchi, ed Igor, il fuggiasco, ad onta del coraggio e del non credere alle leggende, aveva sguainato la spada e portava stretto fra i denti il pugnale, mentre con la sinistra reggeva le redini. Per prudenza, aveva pensato. Guardava fra le fronde degli alberi, in cerca di qualche pericolo vivente che potesse cadere dall’alto e per terra per indicare la strada al cavallo ed evitare trappole vegetali e i serpenti. Sentiva l’umidità entrargli nelle ossa. Fermò il cavallo e dopo un’ulteriore ispezione, prese la coperta che spesso era la sua unica casa e se la mise sulle spalle. Cercava una radura, se non un piccolo spiazzo, dove fermarsi ed accendere un fuoco per riscaldarsi, per dare riposo a se ed al proprio animale. Sembrava però che quel groviglio non avesse mai fine. Ad un tratto Furore si fermò senza motivo apparente e con un moto di terrore si impennò. -“ Calma, cosa c’è? Cosa hai sentito?”- Igor, con voce calma, cercava di ammansire il suo cavallo che continuava a dare chiari segni di nervosismo, intanto scrutava nella penombra intorno a loro. Scorse un chiarore provenire dalla loro destra, a poca distanza, e spronò il cavallo verso quella direzione. Furore però non si muoveva, era paralizzato dal terrore che manifestava ormai con forti nitriti e occhi barrati. Igor smontò e gli si pose di fronte. Dopo molti tentativi e suadenti parole sussurrate, riuscì a calmarlo, senza perdere di vista quello che accadeva tutto d’intorno. Ottenuto lo scopo, rimase fermo, accarezzando il muso della bestia, cercando di capire, da qualche rumore, il pericolo che Furore aveva avvertito. Nulla. Silenzio assoluto. Questo lo preoccupò. La natura sembrava aver smesso di vivere, di respirare. Non si udiva più il furtivo strisciare degli animali sul letto di foglie che ricopriva il terreno, non si sentiva neppure il ronzare degli insetti, anzi, gli sciami che l’avevano tormentati sino a pochi istanti prima erano scomparsi! Si tolse di dosso la coperta, strinse fra i denti le redini, e con nella destra la spada e nella sinistra il pugnale, leggermente curvato in avanti, pronto a scattare, s’incamminò lentamente verso il chiarore tirandosi dietro Furore che non fece resistenza. La lenta marcia, lo portò finalmente a scoprire la causa di quel chiarore: una piccola radura inondata di sole, priva completamente di alberi ma da essi circondata, ricca di un prato verde smeraldo tempestato di fiori multicolori. Al centro si trovava un tesoro: una pozza d’acqua limpida e trasparente. Una famiglia di leprotti, si allontanò in fretta dalla parte opposta, spaventati dalla loro intrusione. Un paradiso! Non aveva sperato di meglio. Un posto dove asciugarsi, riposarsi e poi l’acqua e tanto spazio che avrebbe mostrato qualsiasi pericolo potesse avvicinarsi. Sorrise contento. -“ Guarda Furore, guarda amico, abbiamo trovato un buon ricovero, ora possiamo fermarci a riposare”- Il cavallo sembrò assentire con il capo e si lanciò in un gioioso galoppo verso la pozza d’acqua e, prima di abbeverarsi, guardò verso il padrone, quasi volesse invitarlo ad avvicinarsi. Sembrava quasi comunicargli che il pericolo avvertito poco prima, ora, non esisteva più. Igor comprese il messaggio, rinfoderò le armi e lo seguì. Si fermarono sino al calar della sera. L’uomo aveva cercato con successo una lepre da cucinare sul fuoco preparato al centro della radura. Aveva lasciato libero il suo cavallo di aggirarsi in libertà, senza però mai perderlo di vista: era il miglior sistema di allarme che conoscesse. Quando il sole scomparve del tutto, si arrampicò su un albero che, ai limiti della foresta, coll’intreccio dei rami, gli fornì un giaciglio comodo e al sicuro da sorprese a quattro zampe. Nonostante la stanchezza tardò ad addormentarsi, di tanto in tanto guardava Furore sotto di lui per vedere se fosse tranquillo. Nulla sembrava turbare la quiete della notte. Il silenzio era rotto solo dal verso ininterrotto di grilli e di tanto in tanto dal canto di qualche uccello notturno. Alla fine crollò, rassicurato. Fu svegliato dal nitrito spaventato di Furore. Portò subito le mani alle armi cercando di mettere velocemente a fuoco ciò che gli era intorno: solo un fitto intrecciarsi di rami, alberi, foglie. La radura era scomparsa. Si stropicciò gli occhi cercando di far fronte al terrore che lo invadeva. Non poteva essere. Lì doveva esserci un laghetto al centro di uno spiazzo libero, invece nulla, solo un fitto alternarsi d’alberi, di tronchi gocciolanti umidità. Scese dal giaciglio e si accostò al cavallo che continuava a nitrire atterrito. Rischiando di farsi colpire dagli zoccoli, gli si avvicinò per ammansirlo e calmarlo, mentre la sua mente lavorava febbrilmente per trovare una spiegazione a quello che era accaduto. Ispezionò velocemente il suo corpo e quello della sua bestia, non ci erano segni di violenza, le sue armi erano sempre a portata di mano. Il pezzo di carne messo da parte era ancora avvolto fra delle larghe foglie nella bisaccia. L’otre di pelle di capra pendeva da un ramo, pieno d’acqua. Tutto era regolare se non un particolare: la radura non c’era più. Per quanto spingesse lo sguardo, lontano, fra la fitta vegetazione, non dava segni della sua presenza, come se non fosse mai esistita. Nel frattempo Furore si era calmato, sintomo questo che il pericolo era cessato. La foresta maledetta, questo era il nome che la gente del posto aveva scelto per luogo. Forse avevano ragione, forse davvero in essa accadevano cose strane, inspiegabili! Era la prima volta che riteneva possibile l’esistenza di qualcosa di non reale. No, non voleva complicarsi la vita, non voleva pensarci, preferiva che le cose fossero chiare, affrontabili! Voleva potersi misurare con la vita ad armi pari, senza interventi magici. A questo pensiero sussultò ma cercò di farsi coraggio. -“ C’è una spiegazione! C’è, e la scoprirò!”- Gridò all’aria, con tono di sfida. Si avvicinò a Furore e lo accarezzò sul collo -“ Non dobbiamo avere paura, amico mio, le cose esistono solo se si vedono, se si sentono, se si toccano. Tutto il “resto” è solo frutto della nostra fantasia, delle nostre paure, e noi ne abbiamo passate troppe per farci intimorire, vero compagno? Forse ci sarà qualcosa nell’acqua che abbiamo bevuto che ci ha fatto delirare, che ci ha fatto vedere cose che non esistono. Ecco, forse ho trovato. Ricordo l’aria pesante e quasi nauseabonda che abbiamo respirato per ore nell’attraversare il bosco. Forse ci sarà qualche pianta che con effluvi malsani, drogati, ci ha fatto vedere quello che non era, ci ha fatto trovare quello che noi cercavamo. Si! Deve essere proprio così, altro che magia, solo droga, che ci ha fatto vedere quello che desideravamo. Era solo un miraggio, tutto era solo un miraggio: la radura, l’acqua, la selvaggina era quello che cercavamo, era il nostro desiderio, e l’abbiamo visto!”- Nonostante questa sfuriata a voce alta e mentre asciugava Furore, non si sentiva del tutto tranquillo. Il suo sguardo cadde sulla bisaccia con i resti della lepre, ed all’otre ricolmo d’acqua! -“ Un miraggio! Si solo un miraggio!”- Esclamò, questa volta in modo meno convinto.